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Firenze / Paola Cipriani / Tessuti & Filati

I tessuti preziosi di Paola Cipriani – 3 parte

Il restauro di arazzi antichi

Paola mi spiega che il restauro può essere di due tipi, conservativo, meno invasivo e meno costoso, e integrativo. In quest’ultimo caso è necessario ricostruire le parti mancanti e ricreare sia i filati che i colori e, rispettando i disegni originari, bisogna poi riallacciarsi al tessuto preesistente. Il lavoro procede in entrambi i casi molto lentamente su piccolissime porzioni di tessuto in ambienti enormi con tavoli di dimensioni adeguate a quelle dell’arazzo da restaurare, dunque anche sei o sette metri di lunghezza.

Il momento più entusiasmante del restauro di un arazzo – racconta Paola – è quando si conclude il lavoro e finalmente è possibile vedere l’opera nella sua interezza. Durante il restauro infatti l’arazzo è tenuto chiuso dai curli o subbi; in pratica è ancorato a due rulli che scorrono durante la lavorazione tenendolo sempre coperto e protetto. Solo alla fine si può vedere il lavoro completo e questo ogni volta mi ha dato una emozione indescrivibile provocando in tutte noi che avevamo partecipato al restauro, una grande commozione.
Stessa emozione l’ho provata dopo un lavaggio.
Il tempo ha lasciato su questi tessuti una patina di polvere che insieme al fumo delle candele ne ha scurito i colori. Inoltre spesso gli arazzi erano tessuti anche con fili d’oro e di argento che col passare del tempo diventavano quasi neri cambiando completamente l’effetto cromatico dell’opera.
Dopo il lavaggio gli arazzi riacquistano la brillantezza e la vivacità di colori che il tempo aveva alterato. Restaurare e lavare un arazzo è dunque emozionante come se gli si desse nuova vita.”

Il lavaggio degli arazzi antichi

Paola mi spiega che i lavaggi venivano programmati per essere svolti nei mesi estivi. Prima di procedere al lavaggio vero e proprio era necessario consolidare le eventuali lesioni del manufatto fissando del tulle su entrambi i lati dell’arazzo. Si aspirava poi con estrema delicatezza lo sporco più superficiale, dopodichè si poteva immergere l’opera nell’ acqua.

I nostri metodi di lavaggio erano molto rudimentali, si svolgevano prevalentemente all’aperto su grandi prati con vasche artigianali. In sette-otto persone lavoravamo in ginocchio, tamponando il tessuto con spugne imbevute di saponina naturale estratta dalla saponaria.”

L’uso della saponaria officinalis per pulire i tessuti ha origini molto antiche, già nell’VIII secolo a.C. veniva usata dalle popolazioni nomadi dell’Asia per sgrassare la lana delle pecore per poi tessere i tappeti. I romani sono stati i primi ad utilizzarla per l’igiene personale alle terme. Plinio racconta che i greci la utilizzavano per ammorbidire e e pulire la lana.

“…La pianta fresca confricata sopra l’epidermide deterge le macchie come farebbe il sapone, e di fatti il principio saponeceo di questa pianta, cher esiste nelle foglie, fa spuma coll’acqua, e leva le macchie oleose dai panni lini.”

Francesco Maria Coli ” Notizie elementari dI FARMACIA, DI CHIMICA, DI STORIA NATURALE E DI BOTANICA AD USO DEI GIOVANI STUDENTI” Bologna 1804

Saponaria officinalis


Il procedimento – continua Paola – si ripeteva almeno due volte e poi si passava al risciacquo con acqua demineralizzata e acido acetico per fissare i colori. In seguito si tamponava per togliere l’eccesso di acqua, si avvolgeva l’arazzo, che diventava pesantissimo, con dei rulli e veniva steso ad asciugare su grandissimi tavoli.
In Francia invece quando visitai il laboratorio di restauro sotto il Louvre, mi resi conto di quanto fossero avanzati rispetto a noi, perche’ avevano dei sistemi di vasche con aspirazione molto più tecnologici.”

Tutto questo spiega perché il restauro degli arazzi non sia richiesto molto frequentemente, risulta infatti più impegnativo e dispendioso rispetto al restauro di altre opere d’arte, più piccole e anche di più immediata comprensione per il grande pubblico che potrà poi visitarle.
La complessità, i costi e i tempi lunghissimi di realizzazione furono nel tempo causa anche della fine della produzione degli arazzi. Via via che le tecniche si affinavano e si perfezionavano, l’arazzo aveva acquisito una tale perfezione di effetti e sfumature di colori da essere sempre più simile ad una pittura, con la differenza che però commissionare un quadro era enormemente più semplice, veloce ed economico.
Dal settecento poi si diffusero i cosiddetti succhi d’erba che erano delle pitture su tela realizzate con colori naturali estratti dalle erbe; riproducevano gli stessi soggetti degli arazzi, avevano le loro stesse dimensioni ma costavano enormemente meno.