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Firenze / Paola Cipriani / Tessuti & Filati

I tessuti preziosi di Paola Cipriani – 2 parte

Gli arazzi e il restauro a Firenze

In passato gli arazzieri erano prevalentemente uomini, oggi il restauro è invece prettamente in mano alle donne. E’ un lavoro di grande precisione e attenzione.

Paola racconta: “Per fissare il tessuto di supporto che mettevamo sotto l’arazzo la nostra insegnante ci faceva fare cinquanta punti per ogni centimetro quadrato. Il lavoro era così minuto e richiedeva una tale precisione che lavoravamo con la lente di ingrandimento. Non dovevano esserci tensioni e ci veniva richiesta una precisione assoluta”

“Mentre lavoriamo abbiamo sotto gli occhi solo una striscia di stoffa della lunghezza di una mano, che viene via via arrotolata sul subbio, e vediamo l’arazzo tutto intero solo quando è finito. Inoltre lavoriamo sul rovescio del tessuto, così per verificare la buona riuscita del disegno dobbiamo infilare uno specchio sotto l’araazzo. Insomma, soltanto quando lo tagliamo e lo stendiamo sul pavimento,riusciamo a vedere l’arazzo tutto insieme e dalla parte giusta. Allora rimaniamo a guardarlo in silenzio.”

Tracy Chevalier “La dama e l’unicorno”

Paola ha avuto contatti anche con laboratori di restauro all’estero e ha potuto così confrontare il metodo di lavoro italiano con quello di altri paesi.

Arazzeria Medicea – Particolare dell’ Adorazione dei Magi su cartone di Alessandro Allori

“ Il metodo italiano – racconta Paola – è meno invasivo, non sperimenta e non inventa.
Sono stata ad esempio a New York dove nei sotterranei del Metropolitan Museum c’è un centro di restauro del tessuto.
La mia insegnante, avendo maturato una notevole esperienza con il restauro degli arazzi delle Storie di Giuseppe, aveva preso contatti col Metropolitan per la ricerca di filati rigidi e non pelosi che ci servivano per ricreare la stessa situazione che si presentava coi filati del ‘500, più grezzi e meno morbidi di quelli prodotti oggi.
Andai pertanto a New York e mi resi conto di come già allora negli Stati Uniti fosse tutto computerizzato, asettico e climatizzato; erano dotati di macchinari incredibili in grado di sezionare e analizzare minuziosamente l’opera d’arte e il singolo filo affrontando poi il restauro in maniera completamente diversa dalla nostra.

New York – Metropolitan Museum

Gli arazzi erano prodotti come ornamento delle sale dei palazzi,ma avevano anche la funzione pratica di isolare le pareti dal freddo. Le famiglie regnanti avevano le loro arazzerie e investivano molto in queste produzioni che servivano a celebrare le gesta della famiglia.
La realizzazione di un arazzo poteva durare molti anni, e lo stemma della famiglia committente veniva posto solo alla fine perché nel lungo periodo necessario a produrre l’opera potevano capitare molte cose; ad esempio poteva accadere che la famiglia committente cedesse l’arazzo ad un altra famiglia o che terminasse le risorse necessarie a finanziarne la produzione. Altre volte lo stemma andava modificato per onorare la celebrazione di un matrimonio.

Arezzeria Medicea: A sinistra particolare di “Storie di Fetonte” – a destra “Adorazione dei Magi” su cartone di Alessandro Allori

“Nei sotterranei di Palazzo Pitti – racconta Paola – c’è una invidiabile collezione di arazzi, non esposti perché in condizioni precarie o magari perché di tali dimensioni che ne rendono difficile oggi l’esposizione. Potevano arrivare a misurare fino a sette-otto metri per quattro o cinque. In occasioni pubbliche o visite ufficiali venivano anche esposti all’aperto, dunque alle intemperie o al sole, abitudine che nel tempo ha contribuito al loro deterioramento causando molti danni.”

Arazzeria Medicea: A sinistra “Sacrificio di Alessandro” su cartone di Lorenzo Salviati – a destra particolare dell a “Caccia al lupo”

Cosimo I de Medici decise di realizzare una arazzeria a Firenze col duplice intento di rendersi indipendente dalle produzioni transalpine ma anche di sviluppare il distretto tessile toscano. Il suo progetto ambizioso mirava a favorire l’esportazione di questi prodotti facendo brillare Firenze fra le corti italiane ed europee. Convocò pertanto due eccellenti arazzieri fiamminghi, Jan Rost e Nicolas Karcher, che ebbero il compito di insegnare l’arte dell’arazzeria agli artigiani fiorentini con la trasposizione dei cartoni preparatori su tessuto. Ci vollero sette anni, dal 1546 al 1553, per completare l’opera, Le storie di Giuseppe, destinata ad adornare il salone dei duecento di Palazzo Vecchio. Venti arazzi su disegno di Agnolo Bronzino, Jacopo Pontormo e Francesco Salviati, che orgogliosamente portano la dicitura “Fatto in Fiorenza”.