Menu
Beppe Allocca / Prato / Tessuti & Filati

Lofoio, la lana rigenerata di Beppe Allocca – 2 parte

Beppe Allocca continua a raccontarmi la storia di Prato e della sua azienda; mi spiega che è stato il carattere dei pratesi a rendere Prato il centro della filatura.
“Il pratese è un aggeggione” mi dice Beppe. “Non si da mai per vinto e di fronte a mille difficoltà si è sempre reinventato. Il pratese si da da fare, discende dall’impannatore, e si è sempre arrabattato per portare il pane a casa”

“Fummo poveri in canna: cenciaioli, traffichini, inventamestieri, giorno e notte, perchè il lavoro rubava il tempo. Imperava il comunismo, quello di avanti-popolo-alla riscossa-bandiera rossa la trionferà. Silvio Pugi girava col carretto a raccogliere carta. Vendevamo la lira a un franco e venti per far quadrare i conti. Le prime del cinema arrivavano da noi dopo tre mesi rispetto a Firenze…”

“Prato com’era, Storie immagini protagonisti del nostro secolo d’oro”
cap 1 – C’era tanto tempo fa il borgo dei cenciaioli

“Poi certo anche la conformazione del territorio di Prato ha avuto il suo peso” continua Beppe “la presenza di numerose gore, i canali d’acqua del Bisenzio (alcuni naturali, altri artificiali) ha aiutato. Questi canali sono stati sfruttati come forze motrici dell’industria tessile, ma anche in questo caso il merito è stato dell’intuizione e dell’ingegno pratese “

Beppe si riferisce all’intuizione e all’ingegno di Giovan Battista Mazzoni, imprenditore pratese grazie al quale nell’Ottocento Prato vide un tale potenziamento delle sue industrie tessili da veder trasformato persino il suo panorama.
Prato divenne la città delle cento ciminiere e per la sua atmosfera proletaria fu definita dallo storico Emanuele Repetti, “la Manchester della Toscana”.

Giovan Battista Mazzoni

Nato a Prato nel 1789, Giovan Battista Mazzoni si laureò prima in lettere e poi in scienze all’Università di Pisa. Si recò successivamente a Parigi per conoscere le tecniche di filatura e cardatura che in Francia erano notevolmente più avanzate rispetto all’Italia.
A Parigi, alla Sorbona, frequentò un corso di Scienze applicate alle industrie.

“Tornato a Prato” mi dice Beppe “realizzò vari macchinari, alcuni di sua invenzione, altri scopiazzati e rielaborati da quelli che aveva visto nei suoi viaggi in Francia.

G.B. Mazzoni progettò la prima garzatrice e intuì le potenzialità dell’uso dell’energia idraulica al posto dei buoi e dei muli che venivano usati fino a quel momento.
“Tutto questo ha contribuito a sviluppare l’industria tessile sul territorio pratese causando un aumento demografico consistente con una notevole migrazione dal Sud Italia che negli anni Sessanta e Settanta del Novecento portò al raddoppio della popolazione” mi dice Beppe.

Prato nel XX secolo

Beppe mi spiega che la lavorazione dei tessuti passa attraverso molte fasi; alcune come la cardatura e la filatura della lana richiedevano necessariamente l’impiego di manodopera in azienda. Altre invece, come quella del telaio, potevano essere realizzate anche a domicilio.

“Fino agli anni Novanta” mi dice Beppe “molte persone a Prato facevano un qualsiasi altro lavoro e poi a casa avevano un telaio che utilizzavano avanzatempo per arrotondare. Questo era molto frequente subito dopo la guerra ma è proseguito fino agli anni Novanta del Novecento per ragioni anche macroeconomiche. Ad esempio – mi spiega – mettiamo che un grossista chiedesse la fornitura di mille metri di tessuto; se le industrie potevano in quel momento arrivare a fornirne solo ottocento, la parte restante dell’ordine veniva completata con piccole lavorazioni a domicilio.
A Prato ci sono ancora molti magazzini “definiti uscio e bottega”, cioè con l’abitazione sopra e sotto il laboratorio.”

“Il rumore di una tessitura ti fa socchiudere gli occhi e sorridere, come quando si corre mentre nevica. Il rumore della tessitura non si ferma mai, ed è il canto più antico della nostra città, e ai bambini pratesi fa da ninna nanna”

Edoardo Nesi “Storia della mia gente”

Francesco Nuti, scena col telaio impazzito in “Madonna che silenzio c’è stasera” (1982) regia di Maurizio Ponzi

La storia del marchio Lofoio

“I miei ricordi di infanzia – prosegue Beppe – sono legati all’attività fondata negli anni Settanta da mia zia. Si occupava di produzione conto terzi di accessori invernali. Passavo nel suo laboratorio molto tempo dopo la scuola, così come facevano tanti altri ragazzini della mia età che avevano le mamme impegnate nei laboratori pratesi.
La zia aveva gli stessi macchinari che ho adesso io e faceva stole, guanti, sciarpe e cappelli, ma soprattutto lavorava con i guanti.”

la macchina per realizzare i guanti

“Conto terzi – mi spiega – significa che si lavorava con clienti come i grandi brand che arrivavano nel laboratorio, sceglievano il filato e acquistavano il prodotto semilavorato che poi personalizzavano.
La zia produceva di continuo pertanto aveva un magazzino enorme pieno di merce che era pronta per essere venduta. Lo zio che faceva l’impannatore ed era un vero genio delle vendite, smerciava i prodotti ai grossisti.

Il mio primo lavoro nell’azienda è stato alla macchina che faceva lavorazioni tubolari, poi vedendo così tanta merce in magazzino proposi alla zia di mandarmi a venderla direttamente. Ricordo che mi dava un euro per ogni articolo venduto e l’idea di questo guadagno che a me sembrò facile mi stuzzicò parecchio, così iniziai a fare i mercati, mi davo da fare e vendevo come un pazzo.”

Dopo il liceo scientifico Beppe si iscrisse a ingegneria ma senza troppa convinzione.

“Infatti dopo un anno smisi per dedicarmi interamente al lavoro.” racconta.
“Facevo i mercati rionali nella zona di Prato e Pistoia, mi divertivo però lo studio mi mancava. Così dopo due anni di solo lavoro mi sono iscritto nuovamente all’Università, questa volta ad Economia e ho fatto la Triennale a Firenze. Ho continuato poi con la Magistrale in Finanza a Roma facendo il pendolare per due anni fra Roma e Prato dove nel frattempo avevo fondato la mia attività col marchio “Lofoio”.
Stavo a Roma tutta la settimana e nel weekend vendevo i miei prodotti nei mercati.
Economia e Finanza non sono diventate il mio lavoro ma Roma è stata comunque fondamentale per me perchè a Roma mi sono avvicinato al teatro.

Il teatro

Beppe Allocca sul palco nello spettacolo “Genesi del rigenero”

“Ho scoperto il teatro nel 2017 quando mi trovavo a Roma per la Magistrale” racconta Beppe.
“Avevo più tempo libero a disposizione ed entrai in una compagnia teatrale.
Ho fatto un corso di recitazione con Roberta Provenzani e Martina Marone che mi hanno fatto conoscere la magia del teatro.
Un giorno capitò che dovevano debuttare con uno spettacolo, mancava un attore e mi chiesero se avevo voglia di cimentarmi.
Per me è stata una scoperta perché al teatro non mi ci ero mai avvicinato prima. Quando facevo il liceo dedicavo il mio tempo libero solo allo sport, pallanuoto soprattutto, e non avevo tempo per nient’altro.


Pensandoci bene però la teatralità era già in me; io facevo mercati e il mercato è di per sé una forma di teatro. La gente va attratta, intrattenuta, convinta e i prodotti vanno raccontati; è come se ogni volta che partecipo a una fiera facessi uno spettacolo nuovo.”

“Finita l’università ho lasciato Roma e sono tornato a Prato, qui sono entrato in contatto con il teatro pratese e ho scritto il mio primo monologo “Genesi del rigenero”.
Il teatro Borsi mi ha dato la possibilità di presentare questo mio primo spettacolo nel 2020 e da lì l’ho portato in giro per l’Italia anche in luoghi diversi come le scuole e continuo ancora a proporlo.”

Genesi del rigenero

“Genesi del rigenero è dunque il mio primo spettacolo, si può dire il mio primo figlio!” mi dice Beppe sorridendo.
“L’ho replicato circa sessanta volte specie in occasione di festival e fiere.
E’ nato dal racconto che facevo proprio nelle fiere per spiegare la rigenerazione dei filati e contiene tante storie che si incastrano ironicamente fra loro.
Dentro c’è la Bibbia e il cashmere, c’è Mosè e la storia di Prato; è un racconto ironico che continua a piacere parlando non solo di Prato ma anche del riciclo degli scarti tessili”

Locandina di “Genesi del rigenero” al Teatro Borsi di Prato

Il protagonista dello spettacolo è il cenciaiolo, figura emblematica a Prato, simbolo dell’epoca d’oro del recupero e della rigenerazione dei tessuti che ha reso ricca la città.
Il cenciaiolo è colui che ricicla gli indumenti usati, quello che ha affinato i sensi per riconoscere la composizione dei tessuti e li sa dividere adeguatamente.
Seduto a terra nella tipica posizione “a guanciale” il cenciaiolo usa il tatto, osserva la trama e ascolta il suono dello strappo creando mucchi distinti divisi per colore.

(continua)