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Beppe Allocca / Prato / Tessuti & Filati

Lofoio, la lana rigenerata di Beppe Allocca -1 parte

Beppe Allocca ha trent’anni e due smisurate passioni, l’artigianalità del suo lavoro e il teatro.
Ci accoglie nel suo laboratorio a Prato a poca distanza dal centro storico e davanti a un caffè inizia a raccontarsi. Trabocca entusiasmo Beppe e ascoltarlo è davvero piacevole; è un abile narratore, un cantastorie che intreccia il racconto delle vicende di Prato con quelle del suo laboratorio.
Con accento spiccatamente pratese, a voce alta per coprire il rumore delle macchine che lavorano poco distanti, ci racconta il mondo del tessile e i suoi protagonisti. La sua personalità è travolgente e ascoltandolo è facile intuire quanto possa essere a suo agio su un palcoscenico.

“Sono nato a Firenze nel 1993 ma ho sempre vissuto a Prato; – mi dice -sono estremamente legato a questa città e non a caso i primi due spettacoli teatrali che ho scritto parlano proprio di Prato. Sono un grande sostenitore di questa città anche se le origini della mia famiglia non sono pratesi. Il mio babbo è nato a Napoli, la famiglia della mamma invece è del Lago d’Iseo in provincia di Brescia. I miei genitori arrivarono entrambi a Prato da piccoli perché i miei nonni lavoravano qui e qui sono cresciuti.

“Io son di Prato, m’accontento d’esser di Prato, e se non fossi nato pratese vorrei non esser venuto al mondo”

Curzio Malaparte, “Maledetti Toscani”

“Il mio babbo lavora in un altro settore” continua Beppe “mentre la mamma si è sempre occupata di filati insieme a mia zia, fondatrice dell’azienda che ho poi rilevato trasformandola nel marchio “Lofoio”. Ho anche una sorella gemella, Sara, che gestisce il punto vendita che abbiamo in centro.”

Prato

Il Duomo

Prato, la seconda città toscana per numero di abitanti, ha origini molto antiche.
La sua storia inizia con l’invasione dei Longobardi nel VI sec. d.C. che si stanziarono nella Val di Bisenzio e nella zona di Montemurlo.
Sembra comunque che quest’area fosse già abitata nel paleolitico per poi vedere in seguito la presenza degli etruschi e dei romani.
La vera e propria città di Prato si è formata però nell’XI secolo con l’unificazione di due borghi contigui, il Borgo al Cornio e il Castrum Prati dei Conti Alberti.
E’ di questo periodo anche la bonifica della Piana del Bisenzio realizzata con un complesso sistema idrico che regola il corso del fiume e incanala le acque in una fitta rete di gore che estendendosi per oltre cinquanta chilometri, attraversano il territorio pratese per poi gettarsi nell’Ombrone.
Un documento dell’anno 1003 testimonia la presenza di un mulino che, realizzato all’altezza di San Martino, veniva alimentato dall’acqua del “gorone”, il primo grande canale realizzato dopo la pescaia del Cavalciotto.
Questo sistema idrico fu poi potenziato non solo per scopi di drenaggio ma anche per l’irrigazione e nel corso dei secoli permise di fornire energia alle numerose attività produttive e manufatturiere, metallurgiche, cartarie e soprattiutto tessili che si sono sviluppate sul territorio.

Nel corso del XII secolo Prato divenne un Comune libero, furono realizzate due cinte murarie difensive che però non furono sufficienti a impedire che la città cadesse in mano ai fiorentini nel 1351.
La dominazione fiorentina è alla base dello storico conflitto fra le due città, testimoniato anche da Dante nella Divina Commedia.

Godi, Fiorenza, poi che se’ sì grande,
che per mare e per terra batti l’ali,
e per lo ’nferno tuo nome si spande!
Tra li ladron trovai cinque cotali
tuoi cittadini onde mi ven vergogna,
e tu in grande orranza non ne sali.
Ma se presso al mattin del ver si sogna,
tu sentirai di qua da picciol tempo
di quel che Prato, non ch’altri, t’agogna.

Inferno – Canto XXVI

Tra la fine del Trecento e il secolo seguente Prato visse un periodo culturalmente ed artisticamente felice; in quegli anni anche l’economia è fiorente, soprattutto nel commercio dei prodotti tessili e la figura di spicco in questo settore è quella di Francesco di Marco Datini (1335-1410).

Francesco di Marco Datini

Statua di Francesco Datini in Piazza del Comune a Prato

Di origini modeste, Francesco di Marco Datini era figlio di un oste che morì di peste nel 1348 insieme alla moglie e ad altri due figli.
Rimasto solo, all’età di quattordici anni Francesco iniziò a lavorare a Firenze come garzone presso due mercanti imparando velocemente i primi rudimenti del commercio. Ambiziosissimo e abile negli affari l’anno seguente si trasferì ad Avignone che in quegli anni era sede del papato.
Francesco aveva intuito le opportunità che quel luogo poteva offrirgli; vendette così i pochi averi del padre e nel 1373 fondò la sua azienda costruendo in breve tempo un impero commerciale con manifatture non solo ad Avignone ma anche a Genova, Pisa, Prato, Barcellona, Valencia e Maiorca, facendo affari in tutto il Mediterraneo fino ad Alessandria d’Egitto.
Francesco Datini è oggi considerato l’inventore della cambiale anche se sarebbe più corretto forse considerarlo il padre dell’assegno; le lettere di cambio di cui faceva largo uso, erano infatti dei documenti che permettevano di riscuotere in banche prestabilite la somma pattuita fra i mercanti.
Nel 1398 Datini fondò a tal proposito la Compagnia del Banco, primo esempio di azienda bancaria autonoma.

Palazzo Datini a Prato


Infine una curiosità, sembra che Francesco Datini sia stato il primo ad usare il simbolo @ per abbreviare il concetto di “anfora”, unità di misura, peso o capacità che troviamo trascritto su numerose lettere commerciali del suo archivio.
I preziosi documenti dell’Archivio Datini sono stati ritrovati nel XIX secolo durante i lavori di ristrutturazione di Palazzo Datini a Prato.

L’Archivio, perfettamente conservato, è composto da centocinquantamila testi, documenti aziendali, lettere personali, libri contabili e perfino un campionario tessile; è una preziosissima fonte di informazioni sulla vita e i commerci del Medio Evo ed è conservato all’interno di Palazzo Datini, oggi sede dell’Archivio di Stato, in Via Ser Lapo Mazzei a Prato.
https://archiviodistatoprato.cultura.gov.it/

Su Francesco Datini e i commerci del Medio Evo Beppe Allocca ha scritto uno spettacolo, “Col nome del guadagno”.

Beppe Allocca nei panni di Francesco di Marco Datini nello spettacolo “Col nome del guadagno”

In questo monologo Beppe parla dell’avidità dei pratesi del Medio Evo ma anche della laboriosità e di quel sapersi dar da fare che i pratesi di oggi hanno ereditato proprio dai loro avi medievali, primo fra tutti Francesco Datini.
Uomo intraprendente, Francesco Datini faceva affari “in nome di Dio e del guadagno” come scriveva sui suoi libri contabili.
Alla sua morte nel 1410 non avendo eredi Datini lasciò i suoi beni ai poveri di Prato. Inoltre una parte della sua eredità fu destinata ai “gittatelli” di Firenze, quei bambini che le famiglie povere affidavano alla carità pubblica.
L’idea di Datini era di costruire uno Spedale che permettesse di accogliere e crescere questi bambini. Il suo lascito contribuì a realizzare il suo progetto dando il via alla realizzazione dell’Ospedale degli Innocenti di Firenze.

Lo Spedale degli Innocenti di Firenze

“Francesco di Marco Datini – mi dice Beppe – è stato il primo “impannatore”, figura professionale tipica di Prato che esiste ancora oggi; anche mio zio era un impannatore – continua Beppe – da lui ho imparato moltissimo, andavo spesso in giro con mio zio ed ero affascinato da questo mestiere.
L’impannatore –
mi spiega – è quello che muove l’economia del distretto; non produce, non ha macchinari, ma ha una rete fittissima di contatti. Sa chi ha la materia prima, chi fila, chi fa la follatura, chi la cardatura, chi smacchina, chi produce, chi cuce… e così via. L’impannatore ha contatti con tutti gli addetti delle varie fasi di questo lavoro, sa come muoversi e così ad esempio fa produrre i filati da una persona, li fa lavorare da un’altra, oppure li vende ad un’altra ancora o acquista e rivende il prodotto finito.”

Beppe mi parla dello zio con affetto e ammirazione “Conosceva tutti – mi dice – e tutti lo accoglievano con cordialità e amicizia perchè lui per primo era una persona estremamente corretta e gentile. Comprava merce a stock e sapeva sempre a chi venderla. La cosa bella è che aveva un etica del lavoro che purtroppo non ho ritrovato in tante persone con cui sono entrato in contatto in seguito. Per me quello dell’impannatore era un mestiere bellissimo, ogni giornata era sempre diversa e ne ero affascinato.”

Beppe mi spiega che l’impannatore di oggi lavora in modo molto diverso perchè fra le persone non ci sono più i legami di un tempo.
“Purtroppo oggi è tutto più freddo e impersonale, tutto più distaccato. – mi dice –
Di sicuro non succede più che l’impannatore arrivi in estate in un laboratorio portando ghiaccioli per tutti i dipendenti e invece mio zio lo faceva. A quell’epoca nei capannoni in estate si lavorava con un caldo insopportabile e questa sua attenzione a dare un pò di sollievo agli operai mi colpiva ogni volta ed era per me molto significativa.”

Beppe Allocca

fine prima parte