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Carlo Beghè e la paglia di Signa – 2 parte

La storia della paglia ha visto momenti di splendore con riconoscimenti e premi alternati a crisi economiche profonde.

“Sono sempre le voluttuose valli dell’Arno che, sole, possiedono, insieme a quelle dei dintorni di Pistoia e Firenze, il privilegio di fornire a tutto il mondo questi leggeri copricapi destinati a proteggere dai brucianti raggi del sole il colorito di tutte le donne”.

 – Dictionnaire de l’industrie manufacturière, commerciale et agricole del 1835 –

All’Esposizione universale di Parigi del 1855, nella categoria “Fabbricazione degli oggetti di moda e fantasia”, gli operai e le operaie produttori di trecce per cappelli furono premiati con una medaglia d’onore consegnata dall’imperatore Napoleone III con la seguente motivazione:
«Per quanto concerne l’industria della paglia, la Toscana deve essere classificata ai primi posti. L’esposizione dei fabbricanti di questo Paese è delle più notevoli: presenta una raccolta di trecce di paglia, dalle più ordinarie alle più fini. Anche il campionario di cappelli è molto bello e nel numero si dimostrano superiori in finezza a tutto ciò che è stato fatto fino ad oggi».

A fine Ottocento però iniziò una crisi economica fortissima che culminò con gli scioperi e le rivendicazioni salariali di Barsene Conti di cui abbiamo parlato nell’articolo precedente.
La crisi terminò all’ inizio del nuovo secolo, grazie anche al cinema, che dette nuovo impulso alla moda del cappello di paglia di Signa.

Il cappello di paglia al cinema

Nel 1928 esce nelle sale cinematografiche “Un cappello di paglia di Firenze” (Un chapeau de paille d’Italie)
Il film muto, diretto da René Clair è un adattamento cinematografico della commedia in cinque atti Un chapeau de paille d’Italie di Eugène Labiche e Marc-Michel che debuttò il 14 agosto 1851 a Parigi, al Théâtre du Palais-Royal.
In seguito all’uscita del film la domanda di questo accessorio aumentò in tutto il mondo.

Da allora il cappello di paglia toscana ha caratterizzato vari personaggi cinematografici in numerosi film fino ai nostri giorni, assumendo un ruolo chiave nella costruzione di alcuni fra i più emblematici personaggi della storia del cinema.

Sull’onda di questa nuova ripresa economica, a metà degli anni Trenta il nonno di Annalisa fonda la ditta Carlo Beghe’.

La ditta Carlo Beghe’

“Mio nonno – racconta Annalisa – faceva intrecciare a mano la paglia dalle maestranze dei paesi collinari nei dintorni di Signa (Malmantile, Ginestra Fiorentina, Limite sull’Arno, Montelupo Fiorentino, Poggio a Caiano…ecc). Poi rivendeva le trecce alle fabbriche che producevano cappelli e li esportavano in Inghilterra e Stati Uniti.
La lavorazione della paglia impegnava al proprio domicilio molte donne; non c’erano solo le trecciaiole, c’erano anche le donne che cucivano insieme le trecce con ago e filo, e poi per la lavorazione delle borse, c’era chi preparava le fodere e chi applicava le decorazioni.
Le lavoranti venivano a prendere la materia prima da noi e lavoravano a casa; poi mio nonno passava da loro per ritirare le trecce pronte che portava ad altre donne che le cucivano insieme unendole alle fodere che venivano preparate da altre donne ancora”.

All’epoca dei nonni di Annalisa la paglia era tutta prodotta nei campi di Signa.

“Nel tempo poi le trecce sono arrivate sempre di più dall’estero, già pronte, – ci dice Annalisa – e gradualmente a Signa sono spariti i campi coltivati a grano per fare spazio a capannoni, palazzi e abitazioni.”

Per decenni la lavorazione della paglia è rimasta sempre la stessa e Signa era come ce la racconta Collodi:

“…vi dirò che Signa, in proporzione del suolo che occupa, è una delle Comunità più popolate del Granducato. Conta all’ incirca sulle 6000 anime. Anni addietro, quando, cioè, la lavorazione di cappelli di paglia, non era cosi diffusa e conosciuta all’estero ( i forestieri finiranno col rubarci anche l’aria ! ) il paese di Signa fu una piccola California, dove l’oro e l’argento vi colavano da tutti i mercati. Il Castello e i suoi casolari all’intorno vi davano l’immagine di un grande opificio di cappelli di paglia; donne, uomini adulti, e fino i ragazzi di piccolissima età si vedevano assisi sugli usci delle case, e seduti lungo le vie, intenti a preparare la paglia e a lavorare la treccia…”

Carlo Lorenzini (Collodi)“Un romanzo in vapore – Da Firenze a Livorno  – Guida storico-umoristica” – Tip.Mariani Firenze – 1856)

La raccolta della paglia veniva fatta a cottimo dai contadini fra fine maggio e inizio giugno. Per renderla lavorabile erano necessarie molte fasi.
Le piante venivano sbarbate e legate in fasci detti “manate” . Si procedeva poi con la scoloritura lasciandole esposte al sole e all’umidita della notte per alcuni giorni. Si passava poi alla sfilatura che consisteva nel dividere lo stelo e la spiga dal resto della pianta.
Venivano poi immerse nell’acqua e una volta asciutte si procedeva con la zolfatura. Questa
consisteva nel chiudere i fastelli di paglia in ambienti ermetici dove veniva bruciato lo zolfo i cui vapori davano alla paglia un colore biancastro.
Gli steli erano poi separati dalla spiga (spigatura) e divisi in base alle dimensioni (agguagliatura) per essere poi consegnati alle trecciaiole che a mano facevano trecce di vario tipo in base al numero di fili utilizzati.
Negli anni Venti del Novecento iniziò la cucitura meccanizzata che richiese alcune variazioni nell’intreccio che fino a dopo la seconda guerra mondiale continuò a impiegare gran parte della popolazione del territorio.

“Dopo i miei nonni il lavoro è stato proseguito dai nostri genitori – continua Annalisa. Mio padre che già lavorava in azienda ne ha assunto la direzione negli anni Sessanta dopo la morte di mio nonno. Ricordo bene le lavoranti che continuavano a venire per prendere il lavoro da svolgere a casa; alcune erano molto anziane, avevano anche più di novanta anni!.
Poi nel Duemila dopo la morte di nostro padre la ditta è passata a me e mio fratello Pietro”.

“Oggi – racconta Annalisa – il lavoro è cambiato completamente. La materia prima non è più locale, arriva dall’estero, ed è sempre più difficile averla perché quello dell’intreccio è un lavoro che non vuole fare più nessuno e la manodopera scarseggia ovunque.
La paglia ci arriva già intrecciata a striscioline, viene colorata nei vari colori che ci servono da tintorie specializzate che ci realizzano il colore richiesto immergendo le trecce in vasche con i coloranti. Per cucirla si usano le stesse macchine per cucire che usavano i nostri genitori; pur essendo parzialmente meccanizzato il processo di lavorazione richiede sempre una buona dose di manualità”.

le macchine per cucire la paglia

La terza generazione

“Io e mio fratello – racconta Annalisa – ci siamo ritrovati a fare questo lavoro, non l’abbiamo scelto, ma non è stata una costrizione, semplicemente non era immaginabile per nessuno di noi che facessimo altro. A me non piaceva studiare, non ne avevo voglia; mi è sempre piaciuto disegnare, creare con le mani, mettere insieme materiali e colori. Avrei dovuto fare il liceo artistico e invece mi sono iscritta alla scuola di segretaria di azienda che non mi piaceva per niente e infatti non l’ho finita. Però ho trovato il mio spazio nell’azienda di famiglia facendo quello che mi è più congeniale, creare i modelli.”

La ditta Beghe’ ha inserito recentemente anche una produzione invernale di cappelli e borse in feltro e lana cotta.

“Li facciamo in estate – dice Annalisa – e la consegna è in agosto perché possano essere presentati nelle vetrine autunnali. Lana cotta e feltro permettono di fare modelli più elaborati, per quanto il nostro stile sia sempre piuttosto lineare. Lavorare il tessuto è molto più semplice rispetto alla paglia che si cuce da bagnata e limita le possibilità di fare modelli. Col tessuto ci si può sbizzarrire con la fantasia nelle applicazioni e nelle decorazioni; però la lavorazione che mi dà maggiore soddisfazione resta sempre quella della paglia.”

“Per creare un nuovo modello – racconta Annalisa – preparo un disegno di massima.
L’idea può nascere in qualsiasi momento,spontaneamente , magari vedendo qualcosa che mi colpisce; può essere una passameneria, un bottone o semplicemente un colore… allora faccio uno schizzo e inizio a elaborare forme già realizzate in precedenza, aggiungo dettagli, cambio decorazioni, modifico alcune parti… finche non ottengo il prototipo di quello che avevo in mente.
Fare modelli con la paglia non è semplice perchè la paglia non si piega facilmente.
Sia i cappelli che le borse vengono cuciti da bagnati.
Bagno la treccia nell’acqua, la faccio sgrondare 5 minuti e poi la passo in un rullo; non si può cucire la paglia da asciutta perché quando è secca non è lavorabile. Si fa poi asciugare al sole o in stanze areate per l’inverno.
Una volta asciugato, il manufatto di paglia viene stirato passandolo in presse a caldo che hanno la stessa forma delle borse o dei cappelli che si devono realizzare; le presse sono di alluminio che viene scaldato con la fiamma.”

“Dopo la stiratura – continua Annalisa – nel caso che si faccia una borsa ,si irrigidisce il fondo col cartone, si aggiunge la fodera e infine il manico.
Per finire completamente un pezzo, talvolta, può essere necessario anche un
giorno intero!”

Annalisa ci racconta quanto sia diventato difficile lavorare negli ultimi anni, specie dopo il covid con l’aumento esponenziale del costo delle materie prime. Mi confessa che alcune volte è stata tentata dall’idea di mollare tutto , perché lavorare nell’azienda di famiglia vuol dire non avere orari, non avere sabati e domeniche liberi, non riuscire mai a staccare, rimandare progetti di viaggi e vacanze per consegnare in tempo il lavoro che quando arriva non si può rifiutare. Ma poi succede che i sacrifici, la fatica, le discussioni con i clienti che non pagano sono compensati dalla soddisfazione che si prova davanti a una nuova collezione finalmente completata.

“Ogni volta che vedo realizzato quello che avevo in mente, una linea completa di borse e cappelli abbinati, quell’idea che da pensiero è diventata disegno e che poi ho seguito passo passo nella sua creazione e finalmente me la trovo davanti, completata, la posso vedere e toccare… è una grandissima soddisfazione, difficile da spiegare…”

La ditta Beghe’ realizza anche gusci nudi per terzi, aziende di alta moda, grandi firme che poi li elaborano con pelle o altri materiali.

“In questi casi – ci dice Annalisa – i loro modelli vengono creati anche con la nostra collaborazione perché non è possibile fare con la paglia qualsiasi forma si immagini e la nostra consulenza è dunque fondamentale. Siamo rimasti in pochi a saper usare queste macchine per cucire la paglia e non si trova nemmeno chi vogli imparare a fare questo mestiere. Mia figlia e i miei nipoti fanno già altri lavori e non sono interessati a continuare questa tradizione di famiglia. Purtroppo, dispiace dirlo, quando andremo in pensione io e mio fratello la storia della ditta Beghè è destinata a concludersi.”

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Annalisa Beghè

Prima di salutarci Annalisa ci invita a visitare il Museo della Paglia e dell’intreccio, omaggio a quelle generazioni di donne e uomini che per secoli hanno portato avanti il lavoro dell’intreccio con fantasia e creatività.

Il Museo della paglia di Signa

Per salvaguardare la memoria storica e artistica del territorio a Signa è stato fondato il “Museo della paglia e dell’intreccio Domenico Michelacci”.
In più sale espositive è possibile vedere i vari tipi di paglia e grano che venivano utilizzati, i diversi intrecci possibili, gli attrezzi necessari alla lavorazione e una selezione di modelli di cappelli realizzati tra la fine del 1800 e gli anni Settanta del Novecento.
Ci sono poi ambienti a disposizione per studi e approfondimenti e altri dedicate a mostre e rassegne temporanee.

Il museo si trova a Signa in via degli Alberti 11, Signa.
Visitabile su prenotazione martedì e sabato 9.30-12.30, mercoledì, giovedì e venerdì 16-19
tel. 055 875257.
www.museopaglia.it, info@museopaglia.it