Il vetro è composto da silice, che diventa liquida ad elevate temperature; nel momento di passaggio tra stato liquido e solido il vetro diventa morbido e malleabile.
La particolarità del vetro di Murano è di fondere a temperature basse e di raffreddarsi lentamente lasciando il tempo al maestro vetraio di modellarlo con particolari lavorazioni.
Murano, l’isola del vetro
Murano è l’isola del vetro soffiato, lavorazione di antica tradizione che nei secoli ha impegnato generazioni di vetrai.
Originariamente l’isola si chiamava “Ammurianum”, nome dato dai primi abitanti che erano giunti fin qui da Altino (Ve) e Oderzo (Tv) sfuggendo alle invasioni barbariche.
Fino al X secolo l’isola fondava il suo benessere sulle saline, i mulini ad acqua e la pesca ed era un importante porto e centro commerciale.
Dal 1275 ebbe il privilegio di godere di una certa indipendenza da Venezia con la possibilità di darsi delle leggi e battere una propria moneta, l’Osella.
A partire dal 1291 tutte le vetrerie di Venezia furono trasferite a Murano perché i forni di fusione erano la causa principale dei gravi incendi che affliggevano la città; inoltre concentrare sull’isola tutti i laboratori fu un modo anche per esercitare un maggior controllo sull’attività dei vetrai. Venezia infatti voleva custodire gelosamente i segreti di questa lavorazione che l’aveva resa celebre nel mondo, tanto da decidere di obbligare i vetrai a vivere sull’isola concedendo loro di lasciarla solo se in possesso di un permesso speciale. Nonostante queste restrizioni molti vetrai riuscirono comunque a fuggire esportando all’estero le loro tecniche.
“Ad Amurianum lo chiamavano l’orso glabro per via dell’immenso corpo ricoperto di fitta peluria sul quale troneggiava un cranio completamente pelato. Aveva mani grandi come pale che sapeva trasformare in delicate dita da ricamatrice non appena manovrava pinze e cesoie con le quali modellava il bolo. Raccontavano di lui che si fosse fatto strappare tutti i denti per poter soffiare con più forza dentro il ferro sbuso e che conducesse una vita da eremita…”
Roberto Tiraboschi – “La pietra per gli occhi-Venetia 1106 d.C.”
Nel XV secolo Murano affrontò una brutta crisi a causa della fama acquisita dai cristalli di Boemia e riuscì a risollevarsi grazie alla produzione dei magnifici lampadari che ancora oggi sono fra le opere più celebri e apprezzate di Murano.
Nel 1602 il podestà nel censire gli isolani compilò un Libro d’Oro. Chi non risultava iscritto nel Libro non poteva lavorare in vetreria, né partecipare ai consigli perdendo dunque tutti quei privilegi che nel frattempo erano stati concessi ai cittadini muranesi.
L’autonomia di Murano fu confermata sotto Napoleone, quando venne riconosciuta come comune autonomo, ma l’istituzione fu soppressa nel 1923 quando Murano fu annessa al comune di Venezia.
La lavorazione del vetro di Murano
La lavorazione del vetro di Murano viene generalmente distinta in due tipologie dette prima e seconda lavorazione.
Della prima lavorazione fanno parte quei procedimenti che utilizzano la materia prima con l’aggiunta di altre sostanze (ad esempio il sodio che rende il vetro opaco, o il nitrato di arsenico che elimina le bolle) oppure il vetro grezzo, detto cotisso. Questi elementi vengono fusi in forni al fine di ottenere la miscela vitrea che successivamente viene lavorata. Rientra nella prima lavorazione anche la produzione del cristallo di cui abbiamo parlato già ampiamente negli articoli dedicati a Riccardo Cucini.
Alcune tecniche di prima lavorazione
Quelle che vado ad elencare sono solo alcune delle tipologie di vetri realizzati a Murano con specifiche tecniche di prima lavorazione ; mi sono limitata a parlare infatti dei vetri che caratterizzano le perle utilizzate da Mari per realizzare i suoi gioielli e che si possono poi ritrovare anche in vari manufatti tipici dell’isola.
Lattimo
E’ un vetro bianco opaco come il latte; la sua invenzione risale al 1450 circa a Murano con lo scopo di imitare la porcellana cinese giunta a Venezia.
Filigrana
È un vetro ottenuto con una tecnica decorativa a caldo, che prevede l’utilizzo di bacchette contenenti fili lisci in lattimo o in vetro colorato.
Avventurina
E’ un vetro pregiato che contiene piccoli cristalli di rame. Fu ottenuta per caso nel 1620 e la formula per realizzarla è ancora segreta, richiede comunque a fine fusione l’aggiunta di battitura di ferro, silicio metallico e carbone finché inizia a precipitare il rame metallico.
Soffiatura
L’origine della soffiatura risale al I sec a.C. nell’area siro-palestinese. Inizialmente veniva utilizzata una canna vitrea cava la cui estremità veniva soffiata dal maestro vetraio.
Sommerso
Il vetro sommerso presenta strati di colori contrastanti; per ottenere questo effetto viene immerso un soffiato di grosso spessore nel crogiolo contenente vetro trasparente di altro colore. La sovrapposizione permette di ottenere particolari effetti cromatici. Questo processo è una tecnica popolare per i vasi, ed è talvolta usato per le sculture.
La tecnica del sommerso applicato alle perle vede l’inserimento di sottili foglie d’oro e d’argento per arricchire le perle e farle brillare. Su un’anima di vetro attorno al bastoncino di rame, viene posizionata la foglia d’oro o d’argento facendo rotolare la perla sulla foglia metallica tagliata a misura; una volta che questa ha aderito correttamente si copre la perla con un altro strato di vetro.
Alcune tecniche di seconda lavorazione
Fanno parte della seconda lavorazione le decorazioni “a freddo” quali l’incisione e la molatura già descritte negli articoli dedicati al cristallo di Colle di Val d’Elsa e la vetrofusione con l’elaborazione a lume tramite l’utilizzo di bacchette di vetro.
Decorato a smalto
Questa tecnica consiste nella realizzazione di un decoro sulla superficie dell’oggetto in vetro tramite l’applicazione con pennello di polvere di vetri opachi o trasparenti bassofondenti finemente macinati. L’oggetto viene poi sottoposto a un ciclo termico di massimo 500 gradi che ammorbidisce il decoro applicato facendolo aderire alla superficie in modo permanente.
Millefiori
Si definisce “millefiori” una canna che presenta al suo interno diversi strati vitrei concentrici di vario colore e forma. La canna viene poi tirata diventando lunga decine di metri. La canna millefiori viene generalmente tagliata in sezioni denominate murrine. I segmenti ottenuti da una canna forata, dopo essere stati molati, possono diventare delle perle. Mentre le sezioni non forate possono essere accostate fra loro e fuse così da confezionare piatti, vasi o ciotole multicolori.
Vetro murrino
Quella del Vetro murrino è una delle tecniche più antiche; consiste in una piastra vitrea composta saldando con il calore tessere in vetro di diverso colore. La piastra i viene poi modellata con l’utilizzo di uno stampo in argilla refrattaria e può essere ulteriormente modificata anche prendendo forma di vaso.
Conterie
Le “conterie” sono perline di vetro ottenute con la lavorazione a “lume”.
Perlere e impiratesse
La creazione delle perle è una forma d’artigianato tra le più antiche conosciute dall’umanità, risale almeno all’epoca romana, ma probabilmente era già presente in Egitto e Mesopotamia. A Venezia questa produzione finalizzata a creare ornamenti per impreziosire tessuti e gioielli ha impiegato fino a metà del novecento generazioni di donne veneziane in qualità di “perlere” e “impiratesse”.
Le perlere fabbricavano le perle a lume con la tecnica di fusione del vetro attorno a un filo di ferro (oggi di rame), utilizzando una piccola fiamma, il “lume” appunto. Non avendo bisogno di attrezzature complesse svolgevano questo lavoro al proprio domicilio o in piccolissimi laboratori.
Le impiratesse erano invece le infilatrici di perle che svolgevano questo lavoro davanti alla porta della loro casa. Si riunivano in piccoli gruppi di ogni età e lavoravano velocemente immergendo gli aghi nella sessola (una scatola di legno ricurva) che conteneva le perline colorate (le più piccole anche solo di 1 mm!) per poi formare le mazzette. Le più abili tenevano in mano un ventaglio con fino a 120 aghi!
Quello delle impiratesse era un lavoro a domicilio mal pagato che permetteva però alle donne di svolgere le tradizionali funzioni domestiche, senza stravolgere i ritmi familiari e arrotondando le entrate senza spostarsi da casa; per questo motivo era talmente diffuso che all’inizio del 1900 a Venezia c’erano ancora cinquemila impiratesse che mantenevano vivo il mercato delle perle. Il lavoro era organizzato dalle mistre (le impiraresse più anziane e con più esperienza), che facevano da intermediarie tra la vetreria (conteria) e le lavoratrici. Lo sfruttamento della manodopera femminile iniziava già verso gli otto anni e proseguiva fino a tarda età, fin quando cioè i reumatismi alle mani consentivano loro di proseguire il lavoro.
“Semo tutte impiraresse / semo qua de vita piene / tuto fogo ne le vene / tuto sangue venessian / No xè niente che me tegna / quando furie diventemo / semo donne che impiremo / e chi impira ga ragion / se lavora tuto el giorno / come macchine viventi / ma par far astussie e stenti / tra mille umiliasìon / semo fiè che consuma / della vita i più bei anni / per un pochi de schei / che no basta par magnar / anca le sessole pol dirlo / quante lacrime che femo / ogni perla che impiremo / xè na giossa de suòr / per noialtre poverette / altro no ne resta / che sbasàr sempre la testa / al siensio e a lavorar / se se tase i ne maltrata / e se stufe se lagnemo / come ladre se vedemo / a cassar drento en preson / anca le mistra che vorave / tuto quanto magnar lore / co la sessola a ste siore / su desfemoghe el cocòn!”.
canto tradizionale – “La donna nella tradizione popolare” a cura di Luisa Ronchino
La produzione di perle a lume oggi
L’attrezzatura odierna per realizzare le perle a lume è composta da un bruciatore collegato a bombole di metano o propano. Il calore si concentra in un cannello che può raggiungere i 1100-1200°C permettendo la fusione del vetro.
Per realizzare le perle con la lavorazione a lume, gli artisti fondono speciali canne di vetro disponibili in molti colori, lunghe circa un metro, che presentano vari diametri e spessori.
Anche la preparazione di queste canne è frutto di un processo elaborato di antica tradizione.
Tutto ha inizio da un bolo di massa fusa che viene fatto aderire ad un’asta di metallo. Questa viene fatta rotolare su un tavolo, sempre in metallo, affinché la massa vitrea prenda una forma cilindrica. Un secondo artigiano attaccherà quindi all’altra estremità del vetro fuso un’ulteriore asta, e i due inizieranno ad allontanarsi velocemente l’uno dall’altro, facendo appoggiare a terra la canna di vetro che si andrà via via allungando assottigliandosi.
Quando la canna di vetro avrà raggiunto una lunghezza tra i cinquanta e i settanta metri sarà tagliata in sezioni più corte di circa un metro ciascuna. Saranno queste sezioni di canne ad essere utilizzate dall’artista per creare le perle a lume.
Viene quindi scaldata la punta della canna alla fiamma del bruciatore avendo cura di ruotare continuamente la materia fusa intorno a un bastoncino di rame per dare alla perla la forma tondeggiante desiderata creandone il foro.
Con pinze e forbici l’artigiano farà poi piccoli tagli e incisioni, mentre con uno stampo potrà modellare le perle in modo più preciso come forma e dimensione.
Il raffreddamento è un momento delicato perché lo shock termico può sempre causare rotture. Per questo motivo le perle vengono messe a freddare in un contenitore con perlite, materiale espanso di origine vulcanica, che permette di raffreddarle lentamente senza rischi.
La creazione dei gioielli di Mari-Ayni
“La mia relazione con Murano è stata sottile e profonda – mi dice Mari – potrei dire che Murano mi apparteneva.
Quando ero giovane mi incantavo a veder realizzare le perle a lume, mi sembrava una magia.
Andavo per le calli di Murano a caccia di questi artigiani che all’epoca erano numerosi ma sempre nascosti. Addentrarsi nelle calli e scovarli era per me un piacere incredibile.
I turisti all’epoca vedevano facilmente soffiare un vaso, o creare piccoli animali ma l’arte di fare le perle era custodita gelosamente. Ogni artigiano poi si era specializzato in particolari effetti affinando tecniche personali che distinguevano le sue perle da quelle di tutti gli altri.
Oggi, purtroppo questi laboratori da settanta che erano quando ho iniziato a conoscerli quaranta anni fa, sono rimasti solo in sette. Decimati dall’arrivo dell’euro e dalla crisi, oggi quelli rimasti durano molta fatica ad andare avanti e per questo per me è ancora più importante che questa arte non si perda.”
“Attualmente mi servo di un laboratorio storico col quale ho instaurato una bella collaborazione; io suggerisco gli effetti che mi piacerebbe ottenere e loro studiano le perle su misura per me. Abbiamo un ottimo rapporto, mi hanno praticamente visto crescere…
Negli anni ho creato tante composizioni ed effetti diversi per le mie collane, per i bracciali, gli orecchini e gli anelli. Inserisco elementi in metallo anallergico, sperimento, creo, invento modelli sempre nuovi che mi piace chiamare con nomi evocativi e di buon auspicio. Una volta feci provare una collana a una signora e quando le dissi che quel modello si chiamava “sorriso” lei iniziò a sorridere e la comprò con ancora più grande gioia.”
A Mari piace rapportarsi con la gente, le fiere sono per lei un momento di grande soddisfazione; disegnare lo stand, studiare l’esposizione dei suoi prodotti le da ancora una grande carica.
“Ricordo con grande piacere le fiere campionarie – conclude Mari – in Francia a Bordeaux, in Inghilterra, ma anche in Italia, la fiera del Levante a Bari, l’artigianato a Firenze, la fiera di Cagliari, tutti momenti che mi hanno ripagato dell’impegno regalandomi grandi soddisfazioni e divertimento”.